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Un sincero e non sottile disgusto

Scritto da Giorgio Langella - Dip. Lavoro PCI.

28 agosto 2020

di Giorgio Langella - Dip. Lavoro PCI

 

Ieri, un articolo pubblicato in “primo piano” su lastampa.it iniziava così:

 

«Beau non ce l’ha fatta. Il suo cuore si è fermato durante la notte». Inizia così il triste messaggio che Tiziano Ferro pubblica sul suo profilo Instagram per dare l’annuncio della morte del suo cane.

 

Certamente Tiziano Ferro starà soffrendo, a ragione, per la morte del suo cane. È giusto così. È qualcosa di profondamente umano.


Quello che non riesco a sopportare sono gli articoli in primo piano delle testate giornalistiche su questo fatto, mentre lavoratrici e lavoratori continuano a morire nei luoghi di lavoro per infortunio, malore o malattia senza che gli stessi organi di informazione dicano niente.


Certo Tiziano Ferro è famoso, fa notizia il suo dolore ... mentre il dolore di chi muore lavorando, la disperazione dei familiari, l'orrore di un sistema che è spietato ... rientra nella normalità. E' il prezzo da pagare per "il progresso". E poi, bisogna essere realisti: è il profitto che conta e nulla più.


Del resto siamo tutti sulla stessa barca come afferma presidente di Confindustria Bonomi, nella sua intervista a La Stampa (non a caso la stessa dell'articolo sulla morte del cane di Ferro), Tutti,
chi accumula ricchezze enormi e chi lavora, si infortuna, si ammala, muore. Tutti devono accettare un "patto sociale". Lo chiede Bonomi che finisce l'intervista con "Noi imprenditori amiamo profondamente il nostro Paese. Vorremmo essere ricambiati con lo stesso amore."


Però, quanto amore disinteressato e quanta dedizione verso il nostro Paese ... e che sentimenti "alti" e "puri" nelle parole dal presidente di Confindustria!


Ebbene, io non ci sto e lo voglio dire con chiarezza, quasi come atto di ribellione e accusa.


Leggendo parole del capo di Confindustria e ricordando che da inizio anno sono morte (dati dell'Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro) 365 persone a causa di infortunio nei luoghi di lavoro (senza contare i 276 – lavoratori e lavoratrici – che sono deceduti per covid-19 contratto nei luoghi di lavoro secondo il monitoraggio ISTAT al 31 luglio 2020), io provo un sincero e non sottile disgusto.



La cosa che dovrebbe indignare è anche che lorsignori vorrebbero ci inchinassimo di fronte alla loro "saggezza".

 

Ma, ci dicono, cosa si pretende dai padroni? Che provino almeno un po' di dolore per i morti sul lavoro? Che si sentano anche solo "leggermente responsabili" di qualcosa?


Nulla di tutto questo. Loro non c'entrano mai né con la (poca) sicurezza sul lavoro, né con i licenziamenti, né con i bassi salari, né con lo sfruttamento …

 

Lorsignori tengono ai propri soldi. Non hanno tempo per altro. Devono guadagnare.


Loro, affermano sempre, non si possono permettere di perdersi in tenerezze, badano ai fatti … sono realisti …


Ecco, Signore e Signori, questo è solo un esempio del "realismo capitalista" nel quale siamo sprofondati.